DOMINE CANIS

 

 

Lo svegliarono i latrati dei cani e i nitriti dei cavalli. Padre Nicolas Eymerich gettò lo sguardo alla finestrella del mona­stero e con stupore mise a fuoco che era ancora nott e. Che stava accadendo? Da dietro la porta la voce concitata di pa­dre Rafael lo svegliò del tutto: “Padre Nicolas, presto, c'è bisogno di voi!”

      “Un attimo fratello, vengo subito!” Saltò giù dal letto con l'energia dei suoi quarantotto anni, si sfilò la camicia da notte e indossò il saio bianco sul corpo alto e robusto. Ap­pena apparve sulla soglia il padre guardiano lo informò: ”E’ arrivato Luis dal convento delle domenicane. La superiora madre Felicitade sta molto male e desidera che voi la con­fessiate e che le impartiate l'Estrema Unzione.”

      “Ma non c'è padre Horacio?”


      “Sì, c'è, ma vuole voi.“ Dalle celle semiaperte alcuni mo­naci si erano affacciati sul corridoio. “Fratelli, potete torna­re a dormire, è tutto a posto!” Rassicurò padre Rafael. Le porte si richiusero ed Eymerich tornò dentro, preparò un fa­gotto con il minimo indispensabile, poi prese la cappa nera e scese le scale che portavano al piano inferiore. Appena Luis lo vide gi si fece incontro. “Padre Nicolas, madre Felicita­de sta morendo e desidera che...”

      “So tutto!” Tagliò corto il monaco. Il giovane era imbaraz­zato: girava e rigirava tra le mani la falda del cappello, con­sapevole di aver interrotto la quiete del monastero.

      “Padre Rafael,“ proseguì Eymerich, “non so quando potrò tornare, ma dite al priore di non preoccuparsi. Nel caso, vi farò sapere. Andiamo.“ Così dicendo indossò la cappa e aspettò che il padre guardiano aprisse il portone. Luis corse a staccare il cavallo ed Eymerich andò alla stalla. Quando ne usci era in groppa a Belzebù, un bellissimo purosangue dal manto nero. La notte era fresca e serena. Una falce di luna li accompagnò per tutto il percorso. Quando giunsero al convento trovarono due monache presso il cancello ad at­tenderli. Luis tornò a casa e il monaco fu condotto immedia­tamente al capezzale della moribonda. Una novizia stava as­sistendo la vecchia domenicana; appena lo vide, si alzò, an­dò a baciargli la mano e uscì lasciandoli soli. Una candela illuminava fiocamente la stanza.

      “Siete voi, Eymerich?”

      “Si, Madre.“ Si tolse la cappa e aprì l'involto: prese l'Olio Santo, la stola che mise al collo, il crocifisso e si avvicinò al letto per farglielo baciare. Dopo le unse la fronte e le mani e recitò la preghiera dei moribondi.

      “Finalmente, padre Nicolas, ora posso morire in pace!“ E­sclamò debolmente la monaca e continuò, “Ascoltatemi, devo svelarvi un segreto che ho custodito per diciassette an­ni e che io promisi di non rivelare mai. Ma ora, le circostan­ze...”

      “Un attimo madre, torno subito.” Si alzò, chiuse la porta e tornò a sedersi. La monaca riprese.

      “In quel tempo giunse al convento una carrozza con due nobildonne: una di queste era la baronessa Margarita e l'altra la figlia Isabel. Mi raccontarono la loro storia... Come sapete, nel 1350, alla morte del re di Castiglia Alfonso XII detto il Giustiziere, salì al trono il figlio legittimo Pedro I. Gli contendeva il trono il fratellastro Enrique di Trastàma­ra. Quando Pedro uccise la madre e il fratello ad Enrique, l'odio tra i due divenne implacabile... Nel frattempo il Tra­stàmara si era innamorato di Isabel e da questa stava per avere un figlio. Tacquero a tutti del suo stato e all'alba di un mattino si sposarono in gran segreto. Pochi giorni dopo la giovane sposa fu affidata alla madre, che la portò al sicuro in convento. Per prudenza nascosi Isabel in campagna, nella casa del nostro giardiniere e 1à nacque il principe Enrique Luis di Trastàmara... Dopo pochi mesi il bambino fu lascia­to alle cure della moglie del giardiniere e della nutrice. Isa­bel entrò in convento, falsa monaca tra le monache... A tutt' oggi Enrique di Trastàmara teme per la loro vita: re Pe­dro ha assassinato perfino la moglie Bianca di Borbone per amore della sua favorita e, di certo, non indietreggerebbe ad uccidere anche loro, in qualsiasi momento... Vi prego, pen­sate voi a questi innocenti, ve li affido, voi siete giovane e forte...“

      La poveretta s'interruppe per la fatica. Eymerich non aveva perso una parola. Lo sguardo era rimasto duro come pietra di diamante. Avrebbe voluto farle delle doman­de, ma preferì mortificare la sua curiosità e tacque impo­nendosi la virtù della pazienza.

      “Padre Nicolas, feci bene?” Aggiunse tentando di alzarsi e afferrandolo per un braccio, ma fu presa da frenetici colpi di tosse e ricadde sul letto stremata, con la bocca aperta e gli occhi fissi davanti a sé. Se non sbagliava... Il monaco prese la bugia dal comodino e gliela accostò al viso. La fiammella non si mosse. Fu irritato di vederla senza vita. La morte gli aveva giocato un brutto tiro. Ora il suo compito era diventa­to più difficile: doveva trovare tra tutte le monache del con­vento la principessa Isabel. Afferrò il campanella e lo agitò con forza.

      Quella notte le religiose vegliarono il corpo della superiora ed Eymerich potè riposare per qualche ora nella cella che gli era stata messa a disposizione. Alle Laudi si ritrovarono tutti nella cappella. Dopo una frugale colazione Eymerich con­vocò la vice superiora Magdalena in biblioteca:

      “Madre, po­trebbe fornirmi un elenco di tutte le monache, e una pianta del convento? L'indagine che devo svolgere deve conclu­dersi al più presto perché devo recarmi altrove.”

      “Certamente, padre Eymerich, avrete tutto quanto prima. Posso ritirami?”

      Lui assenti col capo e lei usci dalla stanza facendosi il segno della croce: quel monaco così austero riu­sciva ad inquietarla.

      Più tardi il vecchio padre Horacio offi­ciò la S. Messa dei Defunti. La bara troneggiava sul catafal­co al centro della cappella. In una panca Luis piangeva si­lenziosamente. Il coro intonò il canto: "Gli uomini muoiono per vivere in eterna beatitudine con Dio..", si benedì il fere­tro, che poi venne portato al vicino cimitero. Dopo, Eyme­rich si ritirò nella sua cella.

      Era l'anno del Signore 1368. Anni prima era stato Inquisitore Generale del Regno d'Aragona, sotto il re Pedro IV, detto il Cerimonioso; cadu­to nell'ostilità del re, per la sua intransigenza, (si parlava di rogo e scorticamento inflitti con troppa facilità) fu esiliato. Ora si trovava in terra di Castiglia. Il priore l'aveva chiama­to presso di sé per affidargli alcuni incarichi delicati, che so­lo un abile diplomatico, quale egli era, poteva portare a ter­mine. La campanella del chiostro annunciò che era l'ora del pasto principale. Eymerich scese nel refettorio. Con il gesto della mano fu invitato a prendere posto vicino a madre Ma­galena. Si recitò una preghiera e si iniziò a mangiare nel più assoluto silenzio, come la regola conventuale prescrive­va. Fu servita dapprima una zuppa di verdura con fagioli nelle ciotole di legno, e dopo anitra con pollastrello allo spiedo su grandi fette di pane; si versò del buon vino in boc­cali di peltro, e si gustò frutta del frutteto del convento. Per finire madre vivandiera portò delle ciambelline all'anice e del vino mielato. Una preghiera di ringraziamento concluse il pasto.

      Durante la siesta Eymerich andò in giardino in cerca di Luis, ma non lo trovò. Allora sostò sotto l'ombra di una quercia, seduto su una panca di pietra, a leggere ancora una volta la lettera di padre Miguel che gli scriveva da Siena: egli esprimeva il suo compiacimento per una certa terziaria domenicana di nome Caterina Benincasa. Questa santa gio­vane faceva del bene a tutti. Aiutava i poveri, curava gli in­fermi e auspicava vivamente il ritorno del Papa a Roma, se­de secolare voluta da Gesù: "...Ed io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le pone dell'inferno mai prevarranno contro di lei.." Il monaco condivideva tutto ciò e scriveva di lei con tali accenti di ammirazione, che Eymerich ringraziava sempre la Divina Provvidenza.

      Ripiegò la lettera e la ripose in tasca. Tra bre­ve doveva recarsi in missione ad Avignone dal Santo Padre. Si ripromise di parlargli a cuore aperto della questione. In­tanto andò in cerca di madre Magdalena. La trovò a pregare nella cappella principale. Si fermò dietro una colonna e aspettò che terminasse. Una spada di luce penetrava dall'alto della vetrata e la investiva di una luminosità celestiale. Notò che aveva un profilo bellissimo. Poi lei si voltò e lo vide. Un leggero rossore le colori le guance pallide. lisci turbata. Eymerich aggrottando le sopracciglia le chiese con impa­zienza: ”Dunque, ha trovato la pianta del convento, ha compilato l'elenco?”

      “Venga con me,” Gli rispose infastidita la monaca, e si di­resse verso lo studio. Entrò, apri il cassetto dello scrittoio, prese alcuni fogli e glieli porse. Lui nella fretta di prenderli le sfiorò la mano. Un brivido sconosciuto lo lasciò attonito. Un attimo e riprese il controllo.

      “Questo elenco mi era indispensabile.” Si sedette e control­lò alcune date di nascita. Mise dei segni su alcuni nomi.

      “Vorrei parlare con madre Gertrudis.”

      “Certo, la faccio venire.”

      Che gli stava accadendo? Quella monaca Io sconvolgeva come mai gli era accaduto. Vade retro Satana! Vade retro!

      Madre Gertrudis entrò tutta seria e compunta e il monaco la riconobbe subito: era la cuoca del convento.

      “Grazie del lauto pasto!” Esclamò il monaco. Lei gli sorri­se. “Volete parlarmi di vai?” continuò Eymerich.

      “Ho preso i voti a ventidue anni. Mia madre morì di parto e lasciò otto figli in tenera età. La sorella maggiore prese le redini della casa e in qualche modo ci crebbe. Io scelsi di dedicare la mia vita al Signore.” Tacque.

Eymerich la scar­tò subito: lineamenti grossolani... sempliciotta.. poco av­venente per un principe. La congedò. Entrò madre Magda­Iena e domandò: “ Adesso chi volete che chiami?

      “Tocca a madre Monica, la giardiniera,”Rispose Eyme­rich. La monaca arrivò.     “Entri pure e mi racconti di lei.

      “Padre, vengo da un villaggio di contadini. La peste nera del '48 si portò via tutta la mia famiglia. Io mi salvai, perché cosi volle Iddio e a Lui mi sono votata. Tutto qui.“  Spiegò brevemente e lo guardò con volto ftanco e sincero.

      “Può andare. Ah, brava, il giardino è davvero splendido!“ Al complimento lei gli fece un largo sorriso e uscì.

      All'improvviso si spalancò la porta e una vecchia monaca zoppicante entrò dicendo: ”Eccomi qua.. sono madre Barba­ra, una gran pasticciona che combina solo guai, ma ho quasi novant'anni e un po' di rispetto lo pretendo. Dicono che alla mia età devo solo pregare e cantare le lodi a Dio, e cosi fac­cio. Un tempo suonavo l'organo, ma ora sono sorda come una campana e con queste ossa doloranti. Prima preparavo anche il coro, ma ora c'è madre Estrella...“

      Eymerich le andò incontro con premura: ”Non intendevo disturbarla,” e l'accompagnò gentilmente alla porta. Poi fece il cenno di avvicinarsi a madre Magdalena. Lei Io guardò interrogativamente con l'azzurro intenso dei suoi occhi, simili al man­to della Vergine Maria che stava in cattedrale. Dal velo del­la fronte le era uscito un ciuffetto biondo ribelle. Un sorriso malizioso le spuntò all'angolo della bocca. Era incantevole.

      “Ha trovato ciò che cerca?” Gli chiese.

      “Non ancora, ma con la volontà di Dio troverà il bandolo della matassa,” Rispose laconico e se ne andò, lasciandola esterrefatta.

      Dopo il pasto serale, Eymerich andò a prendere Belzebù e si recò alla locanda del villaggio, poco fuori del convento. Qui trovò dei cavalieri seduti a un tavolo che sta­vano mangiando e bevendo allegramente. Appena lo videro abbassarono le voci e parlottarono tra loro. Al monaco non piacquero. I villici non Io degnarono di uno sguardo. Si se­dette in un angolo appartato e finse indifferenza. L'oste gli si avvicinò e gli chiese se volesse un boccale di vino. Lui assenti. Quando glielo portò volle sapere chi fossero quei cavalieri che ostentavano ricche vesti e armi lucenti.

      “Sono qui da qualche giorno. Vanno e vengano e fanno molte domande.” Gli bisbigliò l'oste all'orecchio. Il mona­co pensò che i cavalieri potessero essere emissari del re Pedro. Di certo, di giorno non avrebbero potuto entrare nel convento, ma di notte, con una complice…

      Padre Nicolas finì di bere, lasciò una moneta sul tavolo e tornò soddisfatto al convento.

      Il mattino dopo confessò alcune monache e non fu sorpreso nell'ascoltare i loro peccatucci. La verità nascosta nella vita di tutti i giorni, a tu per tu con il confessore, veniva rivelata senza falsi pudori, abbandonando ogni ritegno. Ma da ciò non trapelò nessun indizio Più tardi incontrò Luis nell'orto:

stava mettendo alcune erbe medicinali in un cesto e ogni volta ne annusava i rametti per sincerarsi che fossero quelle giuste.

      “Parlami di te, figliolo, la defunta superiora non ha fallo in tempo a rivelarmi i... segreti del convento.”

      Il giovane sor­rise. “C'è poco da dire padre Nicolas, sono un trovatello. Ho di­ciassette anni. Padre Haracio mi ha educato e istruito e i miei genitori adottivi mi hanno cresciuto. Quando sono morti, nella peste del '62, sono rimasto solo con Inés, la mia balia.”

­    Aveva appena lasciato Luis alle sue piante, che grida atterri­te gelarono l'aria. Eymerich alzò lo sguardo alle finestre del piano superiore e vide una monaca correre trafelata per il corridoio: ”Aiuto madre! Aiuto! Aiuto...”

      Il monaco immediatamente le corse incontro e la trovò nell' atrio singhiozzante sul petto di madre Magdalena. Quest'ultima era sconvolta: ”Dio mio, Eymerich, Dio mio! È stata uccisa una novizia… soffocata con un cuscino.”

      “Portatemi sul luogo del delitto,” Ordinò il monaco. Come formiche, in fila l'una dietro l'altra, seguirono scalpicciando madre Magdalena verso la scala. Arrivate di sopra, fecero ala al monaco che entrò nella cella piccola e disadorna. Nel letto c'era un corpo inerte che affiorava dalle coperte, il ca­po era tragicamente nascosto sotto il cuscino. La stanzetta si riempì ben presto di monache e l'aria dopo poco divenne ir­respirabile.

      “Vorrei che le reverendissime madri uscissero,” suggeri Eymerich. “Non bisogna ostacolare la giustizia!“ Obbediro­no.  “Lei no, madre Magdalena!”

      Il monaco tolse il cuscino e apparve il volto bluastro di Clara con gli occhi sbarrati.

      Eymerich ebbe l'assoluta certezza che Pedro I era arrivato al convento e che la locanda del villaggio ospitava i sicari. Ad un tratto avvertì il corpo della monaca appoggiarsi al suo, e quando si voltò ebbe appena il tempo di sorreggerla che gli cadde tra le braccia. La trascinò sulla sedia e le spruzzò il viso con l'acqua della brocca. Lei battè le palpebre e rin­venne: ”Oh, che orrore! Scusatemi, non ho retto.“

      “Coraggio!“ L'aiutò ad alzarsi e l'accompagnò fuori.

      Nel primo pomeriggio Eymerich volle interrogare Juana, la novizia che era stata al capezzale di madre Felicitade. E lei raccontò: ”Padre, la madre soffriva e si lamentava, ma non le usci una parola di troppo, ero li per porgerle da bere, per confortarla, stavamo aspettando voi.”

      Era sincera? Eyme­rich pensò che poteva essersi offerta lei di assisterla, forse per carpirle qualche segreto. Le chiese all'istante: “ Quanti anni avete?”

      “Trentuno.”

      Ne aveva di più: quel reticolo intorno agli oc­chi Io dimostrava. Non riuscì ad ingannarlo.

      “Da quanto siete in convento?” Gli occhi del monaco di­vennero due fessure penetranti che la fecero trasalire.

      “Da...pochi mesi. Me ne andrei, se non c'è altro.” Eyme­rich accennò di si con il capo e lei uscì in tutta fretta. fl suo fiuto gli disse che era sulla buona strada. Doveva dare scac­co matto a quel re crudelissimo!

      Per tutto il giorno nel convento serpeggiò la paura. Le mo­nache vagavano per i tetri corridoi malinconiche e silenzio­se. Eymerich quella notte preferì sonnecchiare su una cassa”panca del corridoio, avvolto nella cappa, a guardia delle celle. Non accadde nulla fino a quando un leggero cigalio lo scosse dal torpore. Dalla porta di una cella vide uscire la novizia Juana con un candeliere acceso in mano. Lui finse di dormire, lei lo intravide, sobbalzò e rientrò frettolosamen­te nella cella.

      Il giorno dopo si officiò il secondo funerale ed Eymerich, nell'omelia, promise di trovare al più presto l'assassino e di riportare la serenità nel convento. Non era forse Domine Ca­nis: il cane del Signore? Più tardi parlò con madre Gertrudis e le impose il pasto unico del tramonto, solo per quel gior­no; forse l'astinenza avrebbe sciolto la lingua a qualcuno. Aveva interrogato tutte le religiose, meno l'ultima. Desiderò farlo e si recò nello studio per incontrarla. La trovò che fru­gava in un cassetto in cerca di qualcosa. La guardò e non ebbe dubbi. Era lei l'Isabel che cercava! Troppo gentile, troppo colta, troppo bella, troppo di ogni cosa. Perché aveva rimandato il colloquio? Stava invecchiando, o...

      “Finalmente ho trovato!” Esclamò madre Magdalena sorridendogli, tenendo un libretto tra le mani. Per la prima volta da quando era al convento tentò di ricambiarle il sorriso, ma gli riuscì male: non era avvezzo a concedersi certi piaceri. Lei non ci fece caso e continuò cambiando espressione.

      “Sono molto spaventata. Purtroppo, il diavolo è entrato in convento. E dunque è giunta l'ora di dirvi la verità: non ho mai preso i voti, che Dio mi perdoni, e sono qui da molto tempo sotto falso nome. Sono la principessa Isabel di Tra­stàmara.”   S'interruppe e aspettò una reazione del monaco, ma lui rimase impassibile. Allora riprese: ”Molti anni fa mi rifugiai in questo convento per salvare il bambino che por­tavo in grembo. Madre Felicitade mi aiutò oltre ogni dire. Quando nacque Enrique Io affidammo ad una famiglia ami­ca. Ma...”

      “Perché non mi rivelate tutta la verità?” Interruppe il mo­naco con voce dura, ritrovando il solito cipiglio dell'inquisitore. Lei Io guardò sorpresa.

      “Come dite?”

      “Dico che Luis è tiglio vostro e di Trastàmara”

      Lei si me­ravigliò. Dunque la superiora aveva parlato...

      “Così sapete. Bene! Ma un giorno Enrique libererà la Casti­glia e riporterà la pace nel regno. Attendo quel giorno con ansia. Mio figlio è all'oscuro di tutto, egli ha creduto sempre di essere orfano. Se voi sapeste quante volte ho desiderato stringermelo al cuore, dirgli ogni cosa, ma per il suo bene non è stato possibile. Nelle pause delle battaglie contro il re, il padre viene regolarmente a trovarci, ma con tutti si finge un benefattore del convento, così può rimanere con noi sen­za destar sospetto. In quei rari momenti avvicina il figlio e gli parla da amico, e da questo prende la forza per ritornare a quell'inferno. Tra poco gli riveleremo la verità e lo condur­remo al castello.

      “Ma ora abbiamo un'altra preoccupazione: ad Enrique sono sparite alcune mie lettere che custodiva gelosamente in un luogo segreto. Forse un servitore infedele o altro.. purtroppo, sono giunti fino a noi.”

      “Ditemi, dove dormite?” Lei spalancò gli occhi. “Sempre nella vostra cella?” Incalzò il monaco ignorando il suo stupore.

      “No, veramente ho cambiato… nella mia... ah!”

      “Avete capito? Vi hanno scambiata con quella poveretta, ma la prossima volta toccherà a voi.”

      A Isabel si velarono gli occhi. Ma il monaco non perse tem­po e proseguì con impeto: ”Ascoltatemi, dobbiamo prece­derli. Non mi meraviglierei se per arrivare a voi dessero fuoco persino al convento. Principessa, penso che sia giunta l'ora di rivelare tutto a vostro figlio: ha spalle forti e cuore indomito per sopportare gli eventi del destino. Vi porterà entrambi lontano da tutto questo, sotto la protezione del vostro sposo Enrique di Trastàmara. Poi tornerò qui e sma­schererà Juana, e manderò quella maledetta assassina al ro­go. Che ne dite?”

      Lei taceva sconvolta da quella confessio­ne terribile. Come sempre toccò a lui prendere la decisione. Le afferrò il polso e la trascinò fuori dalla stanza.­

      “Madre, madre, è giunta una lettera del vescovo, sorella Maria è la nostra nuova badessa. Venga, tra poco... il Ve­spro..“

      Madre Monica rimase meravigliata nel vederli spa­rire senza essere degnata di una risposta. Eymerich si dires­se alla stalla tirandosi dietro una Isabel riluttante. La fece salire su un cavallo santo, lui balzò in groppa a Belzebù e partirono alla volta della casa di Luis. Qui giunti, trovarono il giovane sulla soglia. Il suo stupore fu grande quando li ri­conobbe.

      “Qual buon vento vi porta? Entrate pure.”

      Isabel gli raccontò tutto d'un fiato il loro dramma e a tratti pianse. Finalmente il giovane poté abbracciare la sua vera madre. Eymerich si beò della loro felicità. Inés li rifocillò per bene, poi condusse l'amatissima padrona in camera sua, e quando riapparvero i due uomini stentarono a riconoscere in quella bellissima donna dalla chioma bionda, vestita di panni maschili, la monaca di prima. Mentre la balia aiutava Luis a mettere le sue cose nella bisaccia, loro rimasero soli. Entrambi sapevano che dopo, non avrebbero più potuto far­lo. Il monaco cercò di non pensarci e parlò con distacco:

      “Siete finalmente tranquilla? Tra poco sarete sotto l'ala pro­tettrice di Trastàmara.” Lei lo guardò mestamente.

      “ È stato un piacere conoscervi, Eymerich. Proteggete il mio ragazzo, vi prego?”

      “ Sapete bene che Io farò, come fosse un figlio...”

      Si fissarono nelle pupille e si persero in un mare di sensa­zioni contrastanti, finché arrivò Luis e li distolse: ”Sono pronto.”

      “Andiamo, e che Dio ci protegga!” Disse il monaco e usci­rono fuori. Nel cielo, ad occidente, il rosso acceso del sole era ai massimo splendore prima del tramonto. Sistemarono le bisacce sui cavalli scalpitanti e dopo gli addii si allonta­narono al galoppo.

      Il cane per un po' corse loro dietro ab­baiando, poi tornò indietro. Inés li segui con lo sguardo fin­ché sparirono all'orizzonte. Solo allora pianse senza ritegno.